Nato nel '39 a Lucca dove vive e lavora. Diplomato all'Istituto
Passaglia, ha insegnato fino all'85 Disegno e Storia dell'Arte
nonche' Figurino nelle scuole pubbliche. La sua attivita' di
pittore inizia nel 1958 e prosegue in importanti gallerie
d'Italia, Belgio, Inghilterra, Francia ed in particolare negli
Stati Uniti. Varie le opere pubbliche fra cui pitture murali in
chiese toscane.
Sue opere grafiche si trovano presso i Musei
d'Arte Moderna di Madrid, Roma, Londra, Parigi, New York, Mosca,
Chicago. Innumerevoli i servizi su riviste e cataloghi d'arte e
sulla RAI-TV. Ha partecipato alla Quadriennale di Roma del '66.
Lavora prevalentemente a Lucca ma anche a Parigi e Miami dove si
reca di frequente.
Per il cinema italiano ha eseguito le scenografie del film "Metronotte", nell'anno 2000.
Nel Giugno 2001 per la ricorrenza del centenario della scomparsa di Giuseppe Verdi, sotto l'egida del Ministero dei Beni Culturali e dell'Ambasciata d'Italia è stato invitato per una mostra personale a Nairobi (Kenia) sul tema "Verdi e l'Opera Italiana".
Nel Maggio 2003 ha esposto nello storico Museo Nazionale "Oficina del Historiador" dell’Avana Vecchia (Cuba), una mostra dedicata a "Le donne di Puccini e i paesaggi della musica".
Nel Settembre 2003 ha realizzato la mostra "Fado, Volti e Paesaggi", al Museo "Casa do Fado e da Guitarra Portuguesa" di Lisbona, sotto la Presidenza Italiana del Consiglio dell’Unione Europea su invito dell’Istituto Italiano di Cultura del Portogallo.
Si può cogliere negli scritti di coloro che si sono occupati della pittura di Riccardo Benvenuti,
un tentativo di scoprirne le "profondità" ben oltre le dichiaratissime stesure di superficie che, al modo
dei fragili interpreti del floreale italiano (cosa diversissima, ben si sa, dall'avvelenato liberty
internazionale e dalle funebri dolcezze Secessione), l'artista di Lucca provocatoriamente propone
nella loro assurda autosufficienza.
Assurda intendo, perché è autosufficienza di ciò che non è e che non può essere, di ciò che deve
proporsi come fantasma improbabile per trovare qualche credibilità; di ciò infine, che ha un senso
soltanto nella propria ritrovata assenza.
" Non è la prima volta che mi avviene di affermare queste cose parlando della sorte dell'immagine
nel nostro tempo di storia e di cronaca, capace di concepire soltanto oggetti e per il quale,
davvero l'immagine artistica che è essenzialmente finzione e non senso in atto, totale inattualità del presente.
Mi sembra che Benvenuti abbia compreso questa realtà dell'irreale, del vero-falso che si compenetrano
e si giustificano - al di là di ogni logica formale in cui il discorso che diciamo poetico finirebbe fatalmente
per irrigidirsi - oggettivandosi, soltanto all'interno di quella zona di antichi privilegi, entro quel cerchio magico
in cui è legge l'irresponsabilità a cui sempre ci riferiamo quando vogliamo alludere alla specificità e
alla assoluta "libertà " del fatto estetico.
Del resto, che può essere l'immagine se non superficie, simbolo scoperto di sentimenti, appunto,
solo immaginabili? Se così è, Benvenuti dimostra di reggere il gioco in modo straordinariamente
efficace, proponendoci non tanto "figure" - che si intridono sempre di un loro pesante e presuntuoso
realismo moralistico - ma "riproduzioni" di figure che sono la sola cosa che si possa cogliere nel mondo
delle copie conformi in cui la civiltà dell'immagine ci ha portati a vivere e ad operare. Oppure si tratta di
riproduzioni di fantasmi che emergono dall'inconscio e vengono fra noi a perdere la loro purezza per
caricarsi delle lusinghe che dell'immagine sono proprie, distillando in quel tragitto dal profondo alla
superficie una essenza impalpabile, e ripeto, non credibile.
... Ecco: una figura del presente resa credibile soltanto dalla sua negazione, dal suo non essere se
non inquietante stereotipo dell'inattualità dell' oggi. Se ben si esamina infatti la figura che Benvenuti ci
propone, ci si renderà ben conto che essa è innanzi tutto anonima, che dell'anonimato anzi reca la
necessità in sé. Ciò che la distingue non è tanto il suo essere "persona" ma il trovarsi in una determinata
situazione, anzi l'essere essa stessa la situazione in cui si realizza in quanto immagine.
Al di fuori delle convenzioni spaziali e temporali, ma tutta calata nelle scelte incommensurabili dell'artista, la
figura assume tanta astrattezza e icasticità da non mutare sostanzialmente - dal punto di vista dell'elemento
di linguaggio - sia che si presenti come volto di donna o come simulacro di stranita cattedrale. Al di là del
momento esortativo che gli piace sottolineare, questa identificazione è stata ben colta da Mario Rocchi
quando vede sia la donna che la cattedrale come momenti diversi ma non distinti di una tensione spirituale
di Riccardo Benvenuti. La storia stessa dell'artista pare confermare la sua sostanziale indifferenza nei confronti
dell'immagine rappresentata, indifferenza che io preferisco chiamare volontà dell'anonimato.
Si colgano invece la sapienza compositiva, i giochi complessi di luce e d'ombra, quei bagliori che portano
in sé tutto il sapore dell'improvviso, quel rutilante groviglio di segni che di colpo pare raggelarsi come se il
suo percorso fosse fissato da una macchina a raggi infrarossi, e allora si avrà davvero un'emozione, e una
inquietudine autentica quale è quella che può venire - assai più che dal sentimentalismo dispiegato - dalla
rivelazione dell'assenza di sentimento propria dei bellissimi oggetti biologici che popolano il mondo degli
eremiti di massa, condannati a vivere la loro immensa solitudine.
Di questa solitudine, io credo, Benvenuti si fa interprete senza ironia e senza angoscia gridata: questa
gli resta dentro, come un nodo che gli appartiene e che non può trasporre nella fragile struttura
dell'immagine "cortese" senza romperne gli ordini levigatissimi, le sottili armonie."