Mauro Lovi |
È giusto anche premettere che io con Mauro ci sto bene
e che quindi ogni cosa che scrivo di e con lui e dico con lui
è certamente faziosa o meglio informata alla nostra consonanza
e interdipendenza. Ci siamo trovati a dire che aver fatto architettura
non deve costituire una condanna anche perchè dopotutto
da Bennato ad Altan ci sono molti architetti "attivamente
in sciopero" così come fui io stesso definito da un
giovane critico newyorchese in occasione di una mia mostra. Anche
se questa affermazione oggi non mi trova molto daccordo. Perchè
penso non si tratti di sciopero, semmai, come dice Mauro di transumananze
tra discipline i cui confini debbono rimanere aperti.
Per lui così non valgono i consueti equilibrati concetti
con cui si possono forse tenere separate discipline c o me pittura
e architettura anche perchè per lu i come per me le dimensioni
del giorno e della notte coesistono nella stessa apparente confusíone
sia che ci si esprima in una disciplina o nell'altra. Si parla
di conscio o inconscio, di razionale e istintivo per capirci,
ma penso che distinzioni di questo tipo siano ormai superate come
modello, come disse uno stewart, ricordo, incoraggiando il pilota
a partire dopo due ore di attesa in un aereoplano rotto (era nell'Ohio,
è la verità, ma non lo dico) e dopo che con sollievo,
dopo aver visto meccanici armeggiare attorno ai motori, ne discendemmo
per salire su un altro.
Più giusto è dire, e ci
siamo trovati daccordo dicendolo, che l'arte è un buco
nero, come dice lui, o disequilibrante come dico io, cioè
che deve mettere in crisi i sicuri equilibri dei nostri schematismi
mentali, impedendoci di andare a letto a sera insomma, costringerci
a vegliare fino a quando non si è rícostruito un
nuovo (precario) mosaico la cui visione ci dice che è tempo
di riaddormentarci. Il giorno dopo è comunque un'altra
storia per esempio si odia cordialmente chi usa in senso riduttivo,
per esempio solo strettamente razionale, gli elementi che invece
sono neutri, cioè possono tutto. L'indagine giornaliera
invece è la continua scoperta di nuove potenti relazioni
tra la materia e la conoscenza di questa dipingendola e poi per
stadi successivi il gioco che queste conoscenze attuano relazionando
tra loro. Ecco che così il lavoro di Mauro ripropone un
alfabeto e poi una lingua che se parla d'architettura va bene
ma se non se ne parlasse e succede, succede, va bene lo stesso.
Perchè le sue rappresentazioni non sono che dei racconti
di innamoramenti e il divenire di queste sequenze articolate di
emozioni, insieme ad altre regole rigorose, diventa la struttura
del suo pensiero.
Le cose che Mauro racconta sono sempre elementi della realtà
da lui percepita, magari estrapolati dal loro contesto e ricomposte
in un nuovo disequilibrante rapporto. Tutto ciò che ne
deriva è meglio non cercare di definire per parole proprio
perchè queste ti tirano sempre troppo dalla parte del razionale.
Che dopotutto non ha fatto niente di male, ma che si privilegia
un po' troppo nel nostro quotidiano, mentre questo invece conserva
intatti gli equilibri delle nostre composizioni mentali, siamo
solo noi incapaci di ritrovarle. Ed è questo l'aiuto che
ne viene per lui e per noi che ne discutiamo assieme guardando
il suo lavoro di pittore. Pittore del rale come ama definirsi
ogni tanto, perchè la rappresentazi one è come la
composizione, chiara e inequivocabile di una materia che altrimenti
sfuggirebbe troppo.
Mauro apre le porte di dimensioni non consuete indica percorsi
con dolcezza ma con fermezza in cui ci si può awenturare
ma che non sono mai consolatori e tranquilizzanti, I'emozionante
itinerario riserva continue sorprese e necessità di aggiustamenti
nelle velocità e andature che si tengono percorrendoli,
sempre che si voglia giungere in fondo sani e salvi, ammesso poi
che questi itinerari riservino in fondo un fondo.
Mauro pittore e architettore esprime e persegue il piacere suo
e quello dei passeggeri saliti sul suo stesso vagone (lui dice
che preferisce elicottero, le cui possibilità di movimento
meglio individuano le successo che, bene lo sappiamo noi che percorriamo
queste traccie con identica passione fornisce emozione, mai languide
carezze, o magari anche queste ma mai da sole un pò onanistiche,
sempre integrate contrapposte affiancate precipitate da vertigini
e sudori, stanchezze e risvegli, caffè e succo di pompelmo.
Gianni Pettena
"Vi sono epoche in cui l'uomo razionale e l'uomo intuitivo
stanno l'uno accanto all'altro, il primo con la paura dell'intuizione,
il secondo con il disprezzo per l'astrazione. Quest'ultimo è
altrettanto non razionale, quanto il primo non è artistico.
Entrambi desiderano di dominare sulla vita: l'uomo razionale,
in quanto sa affrontare i più importanti e i più
impellenti bisogni con la previdenza, la prudenza e la regolarità;
I'uomo intuitivo, in quanto non vede - come "eroe supremamente
giocondo" - quei bisogni e considera come reale soltanto
la vita trasformata dalla finzione in parvenza e in bellezza...
Mentre guidato dai concetti e dalle astrazioni non riesce per
mezzo loro che a respingere l'infelicità, senza riuscire
egli stesso a procurarsi la felicità dalle sue astrazioni,
mentre cioè egli si sforza per quanto è possibile
di liberarsi dal dolore, I'uomo intuitivo invece, ergendosi in
mezzo a una civiltà, raccoglie dalle sue intuizioni, oltre
che una difesa dal male, un'illuminazione, un rasserenamento,
una redenzione, che affluiscono incessantemente.
Ci sarebbe da scrivere alcune pagine fiorite su questi "capetosta",
ma il discorso si farebbe troppo lungo. Allora perchè io
l'ho iniziato? Semplice, perchè voglio ricordarvi uno di
questi pittori veri che è Mauro Lovi.
Sono passati otto anni da quando lo presentai in catalogo. In
quella nota dicevo che il ragazzo era appena nato alla pittura
e che le opere esposte in quella mostra testimoniavano che per
un momento, subito dopo i primi vagiti, era riuscito a vivere
con gli angeli. Sappiamo che a nessuno è consentito più
di un momento di vagire e tanto meno di vagare e divagare lungo
i pascoli del cielo, e anche lui dovette d'un tratto lasciare
le nuvole, posare i piedi in terra e fare da sè, nel bene
e nel male, senza più la compagnia dei puttini alati. Per
uno di loro, in particolare, Mauro sente ancora della nostalgia,
forse il suo protettore, quello a cui voleva più bene e
ce lo presenta in questa rassegna ritratto in volo sopra una trapunta
invernale.
Di famiglia operaia, la vita in questi anni chiave gli ha riservato
non poche pene e affanni: no, non ha sofferto di angosce mistiche
e sessuali, ha invece terminato gli studi di architettura e, nel
contempo, con lo scrupolo dell'onestà, ha cercato di capire
quello che accadeva sul nostro pianeta sperimentando in proprio,
meditando una scelta.
Nel mare magnum dei pittori Mauro è un pesce tutto speciale,
un pesce a sangue caldo. Mentre molti dei suoi coetanei si sono
accontentati di nuotare in acque tiepide e stagnanti, lui, dal
giorno che lasciò gli angeli, dalla terra è voluto
scendere anche in acqua andando continuamente alla ricerca di
fondali fuor di bonaccia, di acque attraversate da forti correnti
e bruschi sbalzi di temperatura per provare almeno qualche brivido.
A parte le immersioni, divide il suo tempo tra lo studio di P.za
S. Quirico, la casa di via dell'Amore dove vive coi genitori e
la casa di Paola (la sua ragazza) che si trova in mezzo al bel
paesaggio di Chiatri. Lo studio dove vado spesso a trovarlo è
una specie di magazzino da "trovarobe". Ci sono sparsi
alla rinfusa gli oggetti più disparati che vanno, tanto
per fare un esempio, da un vecchio, minuscolo interruttore per
accendere la luce ad una strana, grande macchina che una volta
doveva servire a qualche contadino per fare la grappa di contrabbando.
Quando non ho voglia di stare in galleria (a volte capita perchè
i quadri già eseguiti, bene incorniciati, appesi alla parete,
mi vengono in uggia, mi sembrano dei fantasmi) ci troviamo in
via Fillungo, andiamo a prendere un caffè alla Loggia dei
Mercanti o da Di Simo e poi ci incamminiamo verso lo studio. I1
tempo con lui passa piacevolmente.
Oltre che di pittura parliamo
anche di altre cose, ci raccontiamo qualche lettura, ascoltiamo
un disco, scherziamo sulla mia predisposizione al lamento e le
poche volte che mi scappa detto di sentirmi in perfetta forma
si preoccupa della mia salute. A volte ci accorgiamo di aver fatto
le sei del pomeriggio sol perchè a quell'ora arriva Paola
di ritorno dall'Università di Pisa dove è iscritta
alla facoltà di lettere.
Standogli vicino ho visto incominciare tanti quadri e portarne
a termine pochi. Ma quanti ne hanno lasciati a metà intenzionati
a non riprenderli in mano o addirittura distruggerli anche i grandi
maestri! Non c'è niente di male in questo. Anzi, anche
se mancate, sempre ricerche sono. Solo il pittore-burocrate affronta
la tela bianca sapendo già che cosa deve fare, comincia
il quadro ammodino e altrettanto ammodino lo finisce. Questo tipo
di quadri, statene certi, dopo un pò che li avete in casa
si trasforma in tanti fantasmi, come il Gregorio Samsa di Kafka
che diventa un orribile scarafaggio. Come si fa a vivere accanto
a tanti quadri eseguiti ammodino senza, una volta o l'altra, avere
degli incubi!
Mauro è pieno di dubbi, di attriti, di scontentezze, quasi
mai persuaso e così finisce che molte tele - dopo avere
un pò guardato quello che ci ha fatto sopra - le cancella
con una mano di colore preparando un altro fondo brulicante per
ricomiciare daccapo. Sembra un non-senso ma in realtà costruisce
anche quando cancella. I1 quadro non si sa mai cos'è fin
quando non l'ha finito perchè cambia costantemente da una
cosa in un'altra. E appunto da questo fare e disfare, da questa
ricerca nervosa e INDISCIPLINATA, dallo stare attento al mistero
delle cose, che vengono a dipanarsi una serie di immagini, silenziose
e immobili, di figure e di oggetti sovrapposti nelle costruzioni
e nelle ombre. Insomma è attraverso il processo di realizzazione,
togliendo e aggiungendo, che esce fuori il quadro che "può
anche andare".
A volte sono io la causa della morte di un'opera. Non posso fare
a meno di dipingere io, mentalmente, il quadro. È allora
che mi entra nel capo la voglia di dire la mia e, detto fatto,
mi arrogo il diritto di fargli notare (e lo faccio senza badare
a sfumature) che quella cosa non va o che, nell'economia della
tela, è semplicemente di troppo. Lui non solo non si arrabbia
(ciò che io farei) ma non se ne ha nemmeno a male. Rimane
un momento assorto a riflettere su ciò che gli ho detto
e poi riprende a lavorare. Addirittura succede che a volte mi
dia ragione e lo fa facendomi trovare sulla tela (il giorno dopo)
i segni della mia critica sia pur limitati allo spostamento di
un limone al posto di una mela.
Può sembrare una concessione da niente ma che non è
così ci se ne può rendere conto solo tenendo presente
la diversità di colore che esiste tra i due frutti. Credo
che a nessun altro sarebbe disposto a concedere tanto Come a tutti
i pittori anche a lui domanderanno di chi è figlio. Ebbene
più ci si sofferma a guardare le sue opere e più
diventa difficile cercargli il padre che lo ha influenzato perchè
è stato influenzato da tutti e da tutto. Coglie e riprende
svariati motivi; riesamina le occasioni più diverse consumate
durante il lungo cammino della storia dell'arte annodandole con
invenzione e una libertà che talvolta rasenta l'arbitrio.
Certo è che non lo interessa il cicaleccio, ma le grandi
voci che gli parlano al cuore. Chi sono queste sirene? Basta andare
nel suo studio e dare un'occhiata attorno per conoscerle. A me
è capitato mettendomi a sedere sulla poltroncina verde,
di trovare, sopra al tavolinetto che è di fianco, la rivista
d'arte di FRANCO MARIA RICCI aperta alla pagina dov'era riprodotto
un letto di Gnoli. Di vedere sopra al coperchio del giradischi
"TUTTA L'OPERA DI MORANDI". Di leggere sulla costola
di un libro che sta dentro un comparto della sua libreria "MARCEL
DUCHAMP IL GRANDE ILLUSIONISTA", autore JEAN CLAIR.
Avrete certamente capito che abbiamo a che fare con un giovane
di palato fine, che si nutre con discernimento cercando di farsi buon sangue, ma senza vampirizzare
nessuno.
Lucca, marzo 1983
Omero Biagioni
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