Franco Pegonzi nasce a Barga (Lucca) il 28 Luglio 1939. Da
adolescente si dedica allo studio del disegno e del modellato.
Nel 1957, preso il diploma all'lstituto d'Arte "Passaglia" di
Lucca, allievo degli scultori Vitaliano De Angelis e Antonio
Rossi, tiene a Barga la prima personale di scultura. L'anno
successivo frequenta il Magistero d'Arte di Firenze e vince il
concorso per la cattedra di Plastica all'Istituto d'Arte di AcquiTerme
(Alessandria), dove insegnerà fino al 1969. In questo
periodo espone ripetutamente in mostre personali e collettive,
partecipa a numerose rassegne, consegue premi, vince
concorsi ed esegue varie opere, anche monumentali, in luoghi e
sedi pubbliche in Piemonte e in Toscana.
Nel 1970 si stabilisce a Lucca e insegna Figura e Orrato
Modellato presso il Liceo Artistico Statale. Prosegue l'Attività
espositiva. Dal 1972 frequenta assiduamente i laboratori del
marmo tra Carrara e Pietrasanta. In particolare lo studio di
Sen Ghelardini, dove realizza buona parte delle opere in marmo
di grandi dimensioni, che diventeranno nel corso degli
anni uno dei suoi maggiori impegni di ricerca e di lavoro. Dal
1980 intensifica la sua attività: affronta opere monumentali a
destinazione pubblica, in marmo e in bronzo; partecipa, su
invito, a importanti rassegne in Italia e all'estero; allestisce
ampie e impegnative personali, tra le quali rimane memorabile
quella dell'86 sul Baluardo Santa Maria, nelle rinascimentali
Mura Urbane di Lucca e quella di Parigi del '95.
Decisamente suggestive le mostre allestite dentro la Chiesa di
S.Cristoforo a Lucca negli anni 1997/2001, e particolarmente imponenti
quelle di questi ultimi anni, in Piazza S.Michele, sempre nel capoluogo.
Risiede nei pressi di Lucca, a Lunata Via Vecchia Pesciatina,
92 - (Tel. 0583-935727), e vi ha lo studio, dove lavora quando
non è nei laboratori del marmo e nelle fonderie di Pietrasanta.
"II grand'albero che cerca il cielo"
[...]Dopo l'esecuzione di questa "Porta della Salvezza" la metafora
dell'albero diventa decisiva nell'ultimo Pegonzi,
anche se acquista un senso diametralmente opposto da
quello che aveva in passato. Cessa infatti d'essere un puro
emblema di armonia. Crescita silenziosa, trait d'union
fra buio e luce, dialogo fra terra e cielo col suo doppio
respiro di foglie e radici. Se il Cielo e' espressione del
divino che ci sfugge, ora quanto piu l'uomo e l'albero
soffrono una distanza smisurata da esso. II primo nella
sofferenza del suo isolamento sociale, il secondo nella
desolazione ecologica di una natura ammalatasi per
mano umana. Ed ecco questo ultimo "Grande albero,
2003" tradursi allora in slancio, grido, ultima supplica
che esplode dalla loro drammatica condizione attuale.
Ed e' così che in Pegonzi la pietra torna a farsi preghiera
con l'arte senza dubbio piu paziente. In questa sorta di ex-voto
che lo scultore concepisce come una risposta di questo
inquieto nostro tempo alla religiosa tensione del bello che
ha pervaso la sua città. Awalendosi anche qui della piu
congeniale pietra di Matraia, cosi dura e discreta e "ascetica"
nel suo grigioverde. Cavandone la sagoma da un blocco
gigantesco ch'egli ha affrontato in diretta, inventandosi
persino gli utensili piu giusti ad aggredirlo. Ed ecco il
grand'albero che cerca il cielo ora torcersi dal suolo. Con un
moto quasi "gotico''di veloce avvitamento cercar di strapparsi
da terra, con la chioma che si spalanca: come bocca
invocante, o come braccia disperate che si sollevano. Eccolo,
ora esposto sulla Piazza di San Michele a tentar di ristabilire
il colloquio con l'Arcangelo che dissipa ie tenebre del
male. L'albero radicato quaggiu nella terra che geme e I'Altro
radicato nel cielo che sorride. Chissa mai quando potranno
ritornare ad abbracciarsi?
Giuseppe Cordoni - luglio 2003
" Pegonzi: viene in mente uno scultore astratto molto sofisticato, come
Guadagnucci, vengono in mente i grandi maestri che a Carrara hanno
lavorato piu come tecnici del marmo che come inventori di immagine,
perché è molto difficile inventare immaigini dopo Brancusi, dopo
Calder, dopo Arp, quindi dopo Mirò. Mirò: potremmo dire che si sente
l'immaginazione di questo artista tradotta in marmo. Quello che un
pittore come Mirò affida ai colori puri è qui nel tentativo di
trasportare quell'emozione surrealista in qualcosa di piu consistente,
con una molto elevata perizia tecnica e anche con un certo gusto nel
mettere insieme le basi che vedete, su cui poggiano queste opere
astratte. Qui siamo in una dimensione cbe non direi piu quella di
un'infanzia ritrovata, ma nel tentativo di recuperare un archetipo,
ovvero una forma prima del mondo, come se lo scultore dovesse competere
con dei sassi levigati che si trovano in natura e dovesse quindi in qualche modo
doppiare la natura attraverrso l'artificio dell'arte. Quindi è qualcosa che, anche
soltanto per la scelta della tecnica, richiede un impegno moIto elevato. Mi sembra
che anch'egli possa stare in questa idea di recuperare Brancusi e Mirò, cioè gli
archetipi dell'arte in questo secolo, perfettamente in sintonia con gli artisti che lo circondano. "
(Da un intervento di Vittorio Sgarbi alla
Mostra di Orentano (Pisa) edizione '99)
" E' la terza mostra in quattro
anni quella che Franco Pegonzi inaugura il 3 agosto in
San Cristoforo. Una chiesa
che si presta alle mostre di
scultura e che ha sempre portato
fortuna all'artista lucchese
che, a seguito di esse, ha
avuto offerte per lavori ed
esposizioni in diverse parti
d'Europa. E le mostre in Germania e a Parigi
segnarono una
tappa importante nel cammino
artistico dello
scultore.
L'esposizione, che rimarrà aperta per
tutto agosto, è
composta da una folta serie
di Opere di grandi dimensioni,e
di numerose medie e piccole
sculture. L'ambientazione,
nella splendida e scarna architettura
della chiesa, è delle
migllori e il Pegonzi ha saputo proporre le opere con
gusto ponendole in evidenza
attraverso strutture che tendono
a valorizzarle. Nelle
grandi «Mele» e nelle grandi
«Famiglie» o negli «Abbracci», c'è tutto lo spirito della
scultura, del Pegonzi. Cioè
quel suo scoprire il volume
perché il contenuto ne venga
interiorizzato, quel contenuto
che è luci ed ombre, pieni
e vuoti, dove le emozioni scivolano
dando corpo ad un'avventura
che è quella della vita e dell'amore.
La Mela, ad esempio, nella
sua essenzialità di forme, pur nella
sua piacevolezza, non è un
elemento decorativo, ma scopre
un mondo simbolico che
non si rifà tanto ad Adamo, ma
piuttosto alla natura,il cui richiamo
è spesso presente nella scultura
del Pegonzi.
Un artista che sa usare una
grande quantità di materiali e li
sa usare tecnicamente in maniera
perfetta, come disse Sgarbi
in occasione di una precedente
esposizione: il critico aggiunse,
inoltre, che Pegonzi
poteva essere avvicinato a
Guadagnucci o allo stesso
Mirò (I'immaginazione tradotta in marmo), per il tentativo
di trasportare quell'emozione
surrealista in qualcosa
di più consistente, con perizia tecnica."
Mario Rocchi (articolo per la mostra personale in S.Cristoforo a Lucca - agosto 2001)