Maria Stuarda Varetti - Recensioni
Maria Stuarda Varetti, molto coraggiosamente, mi chiede una
presentazione che probabilmente non
mi compete, specie se si considera che
segue quelle più illustri di Mario
Tobino e Pier Carlo Santini, concittadini critici e poeti più volte laureati;
io, ragioniere senza numeri, ex antiquario
e praticante d'arte, ma per natura e
tendenze, poco osservante, non posso
o non voglio fornire prodotti di alta
distillazione mentale e mi do, senza
riserve, alle componenti dell'amicizia
e dell'affetto, della simpatia e della ammirazione.
Io ammiro Maria Stuarda
perché, secondo me, è brava a raccontare le cose e gli umori delle cose,
brava come quelle "tate" di campagna
che, quando ti narravano una novella,
schioccavano di gusto la lingua e aggiungevano particolari su particolari,
finchè l'immagine del principe azzurro o della bimba dai capelli turchini,
non ti scaturiva nitida nella mente, fotografata con i colori della tua fantasia
e rimaneva ferma e solida come un archetipo;
è brava perché non ti fa pesare il pennello e la tecnica diventa
trasparente e inavvertibile, come un velo
sottilissimo che trasmette memorie e
sensazioni presenti.
Maria Stuarda è una donna dolcissima, negli occhi e nel sorriso; si ha la
sensazione di averla conosciuta a scuola (magari!) come la compagna più
dotata e più schiva, già destinata ad un
mondo espressivo diverso ed alternativo, in cui non sono ammesse
distrazioni goliardiche e facili cameratismi:
da amare perdutamente e senza speranza, solo come si puo fare a diciotto
anni!
Comunque, Maria Stuarda ci dà ancora qualcosa in piu nella sua pittura:
la lucida intelligenza narrativa dell'ironia; il costrutto raffinatissimo del
"limerick", la filastrocca inglese che
sposa felicemente la metafisica con le
rime baciate, la tecnica perfetta come
sistema e la follia come fine; ed anche
di questo, che forse è l'operazione più
difficile e meno apprezzata, io ringrazio Maria Stuarda perché, oltre le
esteriorità, è estremamente raro trovare
oggi un pittore che si spinga, a proprio
rischio, a tentare mondi e modi di
espressione diversi dal conformismo
anticonformista che tutti affligge.
Perdonami, Maria Stuarda, se non ho
saputo esprimermi meglio e fai di queste righe l'uso che credi piu
opportuno.
Ti abbraccio. Tuo
Bruno Vangelisti
Lucca - 29 Marzo 1977
[...]
Ma questa esaltazione del piccolo
oggetto collocato in un suo campo esiguo, dentro una luce direzionata e
immobile che lo colpisce e lo modella,
non puo essere a lungo gratificante per
un'artista che solitamente compone per
equilibri e contrasti, per vicini e per
lontani, per convergenze e per chiasmi.
Aggregando ma anche dislocando e
distanziando le figure e le cose in contesti scenici in cui le occasioni di
figurazione si moltiplicano, Maria
Stuarda Varetti può liberamente esprimere la sua vocazione alla favola, che
sovente è una fuga nel regno, o nel
paradiso, dei sogni.
[...]
Occorre soprattutto conservare la freschezza, la leggerezza e la trasparenza
dei tocchi e delle velature, il quale e il
quanto di ogni minimo gesto. I quadri
ultimi, proprio perché impostati sui
bianchi, sui chiari, e quindi rivelatori
di ogni minimo sgarro, mostrano assai
bene la gamma delle impeccabili
calibrazioni tonali. Anche se tutto è
puntualmente definito, lo è nell'ordine della coerenza linguistica, e non
delle mimesi degli effetti ottici esterni,
o delle morfologie naturali. Se non
mancano exploits virtuosistici, come
quando le trame, le pieghe e le trine dei
tessuti, gli intrecci fitti dei vimini, le
sottigliezze degli epiteli vegetali ci restituiscono il senso palpabile della cosa
vista, anche questi, infine, sono parte
coerente delle immagini. Non dovrebbe essere difficile per nessuno andare
un po' oltre il fascino e la suggestione
del primo approccio, per cogliere la
vita piu autentica della forma.
Pier Carlo Santini
Aprile 1982
Se ne partì per amore, la Varetti:
aveva conosciuto un giovane somalo, e abbandonò Palazzo Dipinto,
dove abitava nel fitto delle strade di
Lucca.
Si trovò laggiù, lontano, nell'Oltre
Giuba, al confine col Kenia. La casa del
marito era in mezzo alla savana, uno
sterminio di erbe, nel deserto. A poche
centinaia di metri scorreva il fiume
Giuba, dove affioravano le untuose
teste degli ippopotami.
Una che viene dal cicaleggio delle
stradine di Lucca, trovarsi in quella
solitudine! Il più vicino centro era Kisimaio, un paesino grande come
Camaiore; per arrivarci nella stagione delle
piogge ci volevano quattro giorni.
Maria Stuarda Varetti fin dall'adolescenza si era dedicata al disegno, alla
pittura, aveva frequentato Istituti d'Arte, preso diplomi.
Successe che nella savana frequentata da leoni, vicino al Giuba popolato
di bestiacce, d'un tratto, in quel deserto, la Varetti ricominciò, vergò di segni
le carte, inzuppò i pennelli, riprese ad
esercitare quel mestiere di pittore che
era stato la prima passione della sua
vita.
E qui scoccò la sorpresa, ci fu il gioco della fantasia, il segreto perché
dell'arte.
Essa, lucchese, di antica civiltà, là
nella savana, non ritrasse il leone
acquattato, l'affiorante coccodrillo o le
scure facce degli indigeni. Le risorsero
invece, le pullularono gli dei e le dee
dell'Olimpo, eroi ed eroine che avevano incantato la sua infanzia: Circe con
Ulisse e i suoi compagni, Danae, Adone che muore, il giudizio di Paride,
Venere che si specchia.
La Varetti si abbandonò a raccontare
queste favole ma per niente con mollezza, rifiutando il bamboleggiamento
infantile. Dipinse invece con satira, cun
un che di beffardo, di sardonico, di ridanciano: guardate Paride intento a
misurare quelle trippe oppure la scollacciata Leda che abusa del cigno! E
però essa non si dimenticò della pura
bellezza che anzi superbamente la ritrasse, come accade nel ritratto di
"Venere allo specchio".
Maria Stuarda Varetti è stata dunque
moderna ed originale, con una sferza
moralistica e satirica (si rifletta anche
ai quadri che vertono sui peccati capitali e all'impegno che ha messo negli
"Omaggi ai grandi pittori").
La pittrice Varetti si presenta ora
nella sua città di Lucca, è ritornata al
nido. Onoriamola, che se lo merita, per
il coraggio e il talento.
Mario Tobino
Febbraio, 1973